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Alzheimer

giovedì 31 Ottobre 2024

Diagnosi

La malattia di Alzheimer è la principale causa di demenza: questa si presenta con una progressione graduale di declino cognitivo e alterazione funzionale. I vari stadi clinici possono andare da un funzionamento cognitivo normale a una lieve compromissione alla demenza, tenendo conto del fatto che il disturbo di Alzheimer si sviluppa su un continuum sia nel tempo che per livello di gravità.
La malattia di alzheimer è caratterizzata da un deposito di β-amiloidi che innescano disfunzioni neuronali e morte cerebrale, in quanto risultano essere tossici. Alcune ipotesi suggeriscono che l’aumento di questi depositi derivi da danni neuronali causati da altri processi, ma sono necessari ulteriori studi per comprendere appieno il processo.

Nei criteri di diagnosi troviamo:

  • Evidenza di una mutazione genetica causativa della malattia di Alzheimer derivante da una storia familiare o un test genetico.
  • Una chiara evidenza del declino nei domini della memoria, dell’apprendimento e almeno un altro dominio cognitivo (basato su una storia dettagliata di una serie di test neuropsicologici).
  • Stabile, progressivo e graduale declino nella cognizione, senza lunghi plateaus.
  • Nessuna evidenza di un’eziologia mista (per esempio assenza di altri disturbi neurocognitivi o cerebrovascolari, o altri disturbi neurologici, mentali o sistemici o condizioni che contribuiscano al declino cognitivo).

 

Cause

Come detto precedentemente, tra le cause principali della malattia di alzheimer troviamo un accumulo di β-amiloidi all’interno dell’area cerebrale. Tuttavia la principale causa della malattia di Alzheimer risulta essere l’età avanzata: con l’età risulta essere più probabile che si verifichino questi accumuli.
Tra le altre cause troviamo la familiarità e l’ereditabilità genetica: infatti alcuni studi su gemelli mostrano che il rischio di sviluppare questo disturbo risulta essere dipendente da fattori genetici per un range che va dal 60 all’80%.
Inoltre alcune ricerche mostrano come le donne siano più propense ad essere colpite da questo disturbo, soprattutto dopo gli 80 anni.
Un ulteriore fattore di rischio è stato identificato in uno stile di vita poco salutare, sovrappeso e problemi cardiovascolari.

 

Trattamento e supporto

In ambito preventivo troviamo una dieta bilanciata, esercizio fisico, allenamento cognitivo e, attività sociali e gestione del rischio vascolare e metabolico.

  • Tra le opzioni di trattamento non farmacologico troviamo che un intensivo controllo della pressione sanguigna risulta essere più efficace nella riduzione del rischio di compromissione cognitiva. Tra i trattamenti farmacologici, troviamo l’assunzione di inibitori della colinesterasi e dell’antagonista del recettore N-metil-D-aspartato memantina.

Nel trattamento risulta particolarmente importante coinvolgere anche la famiglia del paziente: infatti la capacità dello stesso di usare e gestire correttamente le proprie e altrui disponibilità economiche, assumere medicine, essere in grado di spostarsi, utilizzare i servizi ha un impatto diretto sul sistema e le relazioni in cui è inserito.
Spesso, gli adulti che soffrono di questa patologia sono assistiti dal proprio partner, ma quando questo non è più in vita o non è in grado di prestare assistenza, è solitamente sostituito dai figli. Questa assistenza, però può essere molto stressante per chi la deve prestare: può succedere che debbano rinunciare a hobby o vacanze per prestare assistenza e supporto al paziente.

Lo stress accumulato può portare ad un deterioramento della relazione tra il caregiver e l’assistito, aggiungendo ulteriore stress: inoltre questo può essere anche aumentato dalla dipendenza dell’uno nei confronti dell’altro, cambiando la natura della relazione.

  • Tra le possibilità di supporto, troviamo quello sociale: avere delle strutture che si possano occupare dei bisogni del paziente potrebbe dare beneficio al caregiver.
  • Un’ulteriore strategia potrebbe risiedere nell’aiutare il caregiver a gestire le proprie emozioni: questo potrebbe aiutare a gestire anche la risposta emotiva e il comportamento dell’assistito.

Conclusione

I disturbi neurocognitivi possono coinvolgere non solo il paziente che ne soffre, ma anche tutte le reti di relazioni in cui questo è inserito, a partire dalla famiglia. è importante riconoscere subito i primi segni di decadimento cognitivo per cercare di fornire un supporto tempestivo e adeguato ai bisogni del paziente.

Bibliografia

“Malattia di Alzheimer e altre demenze: diagnosi e terapia integrata” di Carlo Caltagirone e Giuseppe Sancesario

“Invecchiamento cerebrale, demenze e malattia di Alzheimer. Una guida informativa per i familiari e gli operatori” di Giuseppe Carbone

Perdersi” di Lisa Genova

 

 

 

Contenuto a cura di:

Davide Livio

Psicologo psicoterapeuta, specializzato in psicoterapia ipnotica. È stato dirigente psicologo e psicoterapeuta presso ASST Rhodense e magistrato onorario presso il Tribunale per i minorenni di Milano. Attualmente psicoterapeuta responsabile presso Clinicapsiche e Ilmiopsi.

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Davide Livio

Psicologo psicoterapeuta, specializzato in psicoterapia ipnotica. È stato dirigente psicologo e psicoterapeuta presso ASST Rhodense e magistrato onorario presso il Tribunale per i minorenni di Milano. Attualmente psicoterapeuta responsabile presso Clinicapsiche e Ilmiopsi.

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Psicologo psicoterapeuta, specializzato in psicoterapia ipnotica. È stato dirigente psicologo e psicoterapeuta presso ASST Rhodense e magistrato onorario presso il Tribunale per i minorenni di Milano. Attualmente psicoterapeuta responsabile presso Clinicapsiche e Ilmiopsi.